domenica 19 luglio 2009

La vecchia pazza è sul marciapiede accanto alla strada, come al solito. È quasi la una di notte, ma la luce dei lampioni è forte e la posso seguire distintamente con lo sguardo. La vedo dalla mia finestra, quassù al quarto piano di questa casa del cavolo, protetto dalle mura uterine del mio normalissimo appartamento. Urla: “faccia di cazzo! Sei solo una Faccia di caaaazzzoooo!” con quella sua voce rauca e calda come un brodo di pollo. Sembra di sentire il suono di una corda troppo tesa, uno stridore di freni, come quelli del treno sulle rotaie.
Fa scintille con quella sua voce.
Urla alle macchine che si fermano al semaforo di fronte. Quando scatta il verde si calma per qualche minuto, poi riprende. È metodica come un operaio durante il turno. “faccia di cazzo! Faccia di caaaazzzoooo!”.
La guardo perché non vorrei che qualcuno le facesse del male. Se ne sta tutta sola, lì sul bordo della strada, portandosi appresso un carretto di quelli per la spesa pieno di bambole più spettinate di lei. È vestita in malo modo, trasandata come una befana.
La pazza abita nel condominio di fronte al mio. Se mi affaccio dalla cucina vedo il suo balcone popolato di bambole e peluche dallo sguardo stralunato.
Non le ho mai parlato. A volte l’ho incrociata per strada, sta spesso alla stazione durante il giorno, ma quando è successo ho abbassato gli occhi, oppure ho sorriso rintanando il cervello dentro le cuffie del lettore Mp3. Però mi sta simpatica. Qualche tempo fa il suo balcone era stato svuotato, le tapparelle erano abbassate e per la strada, la notte, era calato il silenzio. Ho pensato che fosse morta. Mi è spiaciuto.
Quando è tornata invece ho pensato a un TSO. TSO sta per trattamento sanitario obbligato: la polizia ti prende e ti obbliga a farti qualche giorno in casa di cura. Di solito ti imbottiscono di farmaci e poi ti rimandano fuori. Non è che ci sia molto altro da fare se si è soli. Non ho mai visto nessuno con lei, nessuno va mai a trovarla o si prende cura che non si faccia del male. Non so nemmeno se abbia dei figli.
Adesso il suo balcone è di nuovo pieno e, in qualche modo, di nuovo vivo. Chissà che si dicono quelle bambole nel buio? Forse loro vogliono bene alla pazza.
Questa notte è particolarmente agitata. Sembra che ci goda a urlare alle macchine. Io intanto continuo a guardarla. C’è quello stridore nella sua voce che mi attira. Provo a immaginare che farei se qualcuno la minacciasse, se si trovasse in pericolo. Potrei urlare. Potrei correre in strada e portarla via, so dove abita ma non son sicuro che mi seguirebbe. Sarei solo un’altra faccia di caaaazzzooo.
No, in verità so benissimo quello che dovrei fare. lo so bene perché c’è una voce dentro di me che me lo dice, quasi mi chiama per nome. Dovrei uscire di casa così come sono ora, in ciabatte e pantaloncini, scendere tranquillamente le scale, uscire dalla porta e camminare verso di lei guardando la strada. Dovrei arrivarle di fianco senza nemmeno salutarla e poi mettermi a urlare. Non so cosa dovrei urlare, immagino che ognuno abbia le proprie bestemmie da scoprire. Potrei cominciare dicendo le sue stesse cose, urlare anche io faccia di cazzo agli automobilisti per qualche minuto. Dopo un po’ è probabile che mi verrebbe in mente quello che devo urlare io. Ognuno ha i suoi fantasmi, basta solo farli venire a galla. Potrei urlare: “puttana! Puttaaaanaaaaa!” oppure, “che cazzo vuoi? Vatteneee” ma penso proprio che dovrei farlo sul serio per scoprirlo. Non è una cosa che possa venire così, non si può certo impazzire per finta, nemmeno per qualche minuto.
La pazza è sempre per strada. Io faccio il solletico alla mia tentazione di raggiungerla. Sarebbe bello urlare alle macchine. Quei fantasmi che abbiamo dentro la testa grattano perché, in fondo, loro vogliono venire a galla. Sono come la merda, non può sempre andare a fondo, prima o poi riemerge.
Chissà come facciamo noi, la gente normale? Dovrei saperlo io, faccio lo psicologo, ma non è mica così facile come si crede, nessuno sa dove abbiamo il merdaio e come lo teniamo chiuso. Immaginatevi che bella atmosfera là dentro, col caldo. Quintali di merda che suppurano e che continuano a lievitare sotto il peso di altra merda. Non ci resta che preparare degli sfoghi, delle valvole di sicurezza da cui lasciar sfiatare. Scoreggiare l’anima. Io lo faccio sul foglio bianco. O ancora, nella musica dentro la mia testa. Quando sono davvero triste faccio l’amore con “Stairway to heaven”. A parte un paio che a ricordarle mi viene da piangere, eh l’amore fa così, devo dire che resta la scopata migliore della mia vita.
Potessi raggiungerla davvero farei scintille anche io. Caverei gli occhi alla gente col fuoco delle mie parole, metterei in croce l’universo intero, getterei negli abissi l’umanità. Solo che l’umanità non se ne accorgerebbe. Mi passerebbe semplicemente
accanto, diretta dio solo sa dove. Come sempre, come ha sempre fatto.
Su questa grande arca qualcuno cade sempre fuori dal bordo, penso.
Nel frattempo la pazza se n’è andata e i semafori sono diventati gialli intermittenti. potrebbero anche rimanere gialli intermittenti in eterno.



Ettore Zani – Luglio 2009

2 commenti:

chiara ha detto...

Un buon racconto che si ispira alla realtà: ce l'ho anch'io un pazzo che grida di notte fuori in strada davanti casa mia, lui non dice sempre le stesse cose, ha un repertorio vasto e, spesso, incomprensibile.
La pazzia ha qualcosa di affascinante, che attira, quasi dà senso di libertà, ma non è così: i "pazzi" sono prigionieri di loro stessi e meno liberi dei "non pazzi"... poi, anche qui c'è da discutere, perché spesso il confine è davvero labile.
Comunque, un buon racconto, spunto per una buona riflessione :)

Ciao,
C.

EttoreBilbo ha detto...

già, era proprio questa forza che attira che volevo far trasparire...
certi pazienti psichiatrici visti da fuori, da una certa distanza, hanno in sé qualcosa di fascinoso, proprio perché in qualche misura "perverso", nel senso di lontano dal solito verso... come dici tu, quando ci si avvicina si nota la gabbia, la stereotipia, l'essere compressi sempre entro la solita strada che diventa l'unica possibile entro cui dare sfogo all'angoscia. Sono come le due faccie di una medaglia, una luccicante e l'altra oscura...

bai bai
Ettore