giovedì 16 luglio 2009

Baciami, o mandami a cagare





“Non credevo di dover corteggiare anche la vita. Ero più dell'idea: baciami, o mandami a cagare!
Il fatto è che una simile stronzata me la sarei dovuta tatuare tempo fa, ma avevo la testa tra le nuvole e forse ho fatto male a non sbagliare quando ancora ero in tempo, quando c’era tutto lo spazio per raccattare qualche schiaffo in più.
Quindi bella, perché lo sai che sto parlando a te, non sono mica uno di quelli che fa discorsi ai muri, il più delle volte almeno. Bella, ti dicevo, baciami o mandami a cagare perché non ho tempo di corteggiare te più di quanto abbia fatto con la vita. Ormai lo avrai capito che sono uno di quelli che bruciano più del fuoco, ma solo quando il resto del mondo è già una brace, lo avrai capito che sono uno che ama fino in fondo, ma solo quando non c’è rimasto molto di cui godere. Sono uno che arriva in ritardo fin dalla nascita, uno stronzo buono. Ce ne sono pochi in giro, o accetti o molli il colpo.”

Alzo il bicchiere e brindo al vuoto. Tanto non mi ha sentito nessuno con questo fracasso. Sono in una specie di villa che fa da discoteca un po’ all’aperto e un po’ al chiuso. Un posto da fighetti per intenderci. Ma che ci faccio qui? Lei è ancora lì che balla, saranno otto o nove metri da me. Il suo vestito viola urla vendetta, i capelli le cadono sul collo attaccandosi alla pelle. Lei è una di quelle troppo belle, il classico caso in cui passi un mese a dirti che non è una buona idea e poi ci caschi comunque. È in mezzo al gruppo a ballare sulle note dei Ramones e intanto io sorrido perché so che sto facendo una cazzata. I wanna be sedated, ma ormai non c’è più tempo e svuoto il bicchiere con un ultimo sorso.
Prendi l’onda mi dico, prendi l’onda. Comincio a dondolarmi a ritmo, aspetto che le gambe abbiano compreso l’andazzo che mi circonda, devo lasciare il tempo al mio corpo di tornare a questa realtà che pare troppo accelerata. Ci vuole un poco perché i legamenti si scaldino, forse è solo l’alcool che entra in circolo. Quando muovo il primo passo non mi pare di essere in me, sono solo il tocco di tante braccia, e gambe, in questa mischia, sono lo sfiorarsi di pelle contro pelle tra perfetti sconosciuti. Vivo nella mia pelle per un po’, tra un passo e l’altro fino a quando non le sono di fronte e capisco che è ora di trasferirsi. Mentre ballo come uno scemo mi stampo una faccia idiota addosso e mi concentro. Ora vivo sulle mie labbra, sono interamente lì. Sento addirittura fresco.
Quando la bacio mi godo il momento dalla prima fila. Ne valeva la pena perché sento il suo sapore adagiarsi attorno a me. Io sono le mie labbra e le mie labbra sono il mio corpo, ed è come se avessi tutta lei sulla mia schiena, se il suo sudore mi colasse giù per il petto, se il suo fiato mi scompigliasse i capelli. È stato facile, senza parole e senza perché. Probabilmente non se l’aspettava ed è per questo che si è lasciata condurre in questo gioco senza ritrarsi. Quando ci guardiamo lascio andare il momento, il resto deve venire dopo, se verrà. Dico addio alle labbra e scappo verso i piedi. Abbasso gli occhi e mi sposto velocemente verso la fine della sala. Ecco c’è una porta, la imbocco e mi ritrovo su una terrazza all’aperto. Qui c’è un po’ d’aria. Là dentro mi sembrava di soffocare, ma non credo che fosse il caldo. Ora ho fatto la cazzata. Scendo da delle scale che non so perché sono lì, forse era scritto. C’è un giardino, piccolo e poco illuminato. Mi nascondo addirittura a me stesso.
Adesso non mi resta che aspettare. Vorrei non aver lasciato dentro il bicchiere. Tanto era vuoto. Accendo una sigaretta e conto i secondi. Arrivato a cento mi dico: guarda che non viene, ma che ti credevi. Ma poi rido. Non so se me ne importa davvero. Rido cazzo, rido come uno scemo e poi mi volto. Lei mi guarda dalla terrazza. Mi sa che crede che sia pazzo. E io rido, non riesco proprio a fermarmi. Rido, cazzo se rido. Sono piegato in due ormai. I suoi occhi sono sbarrati, sembra piangere. C’è una luce strana che riempie la sua figura, proviene dalla sala che le sta alle spalle. Mi fermo, il pensiero di averle fatto del male mi blocca e torno serio, mi faccio più sotto per non averla in controluce ma quando finalmente mi avvicino mi accorgo che sta ridendo pure lei. Ma va a cagare mi dico. Divento rosso ma tanto è buio. È piegata in due, non riesce a trattenersi la stronza. Salgo le scale a quattro a quattro. La prendo tra le braccia. “Scusa ma credo di non esser mai uscito dall’adolescenza”, le dico, “continuano a bocciarmi”. Mi guarda davvero strano. “Senti”, questa me la sono preparata da un po’ lo ammetto, mi prude pure il naso mentre gliela dico, “ti prego baciami, o mandami a cagare”.

Io non le so corteggiare le ragazze, è come con la vita, è che credevo che le cose andassero diversamente, che ci fosse il bianco e il nero e che tutti i grigi venissero dopo, non prima. Credevo che la vita potesse davvero essere come una canzone, che la potessi racchiudere in cinque minuti di follia, che potessi saltarle addosso e farla mia.

Sono arrivato a cento, mi volto e sul terrazzo non c’è nessuno. La sigaretta è finita. Mi domando se l’ho baciata o se no… mi domando se lei è davvero in quella sala o solo in una qualche stanzetta chiusa della mia mente, esiste davvero? Sono davvero qui? Confondo la realtà con la fantasia, passo dall’una all’altra come da una finestra piccola e vecchia, come nella mia vecchia casa di campagna, quando da bambino giocavo al mondo fantastico. No, non l’ho baciata. Sono uscito subito dopo aver bevuto il cocktail, le ho lanciato appena uno sguardo di sfuggita.
Mi costringo a rimanere nella realtà.
Forse per lei ne vale la pena.
Forse no.
Ma che importa.
È ora.
Rido.
Mentre salgo di nuovo le scale e vado verso di lei penso che sto per fare una cazzata.




Ettore Zani – Luglio 2009

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