giovedì 1 ottobre 2009

Pavor Nocturnus


Sono sempre stato una di quelle persone che, quando si arrabbiano con qualcuno o qualcosa, hanno bisogno di girare sui tacchi, sbattere la porta e andarsene via per qualche minuto. Fuggire col corpo là dove farlo con la mente non è possibile, non più almeno, e illudersi in un appagante lontananza solo per un poco. Non mi ci vuole molto. Di solito mi basta mettere qualche metro tra me e la fonte dei miei problemi, fumarmi una sigaretta o ascoltare una canzone di quelle giuste e poi sono pronto per tornare sui miei passi.
In questi giorni, invece, mi sento come se dovessi camminare fino al Polo prima di voltarmi indietro e muovere il primo passo verso casa.
Da troppo tempo non sbatto qualche porta ed è per questo che il viaggio si allunga. Le porte che sbatto sono invece quelle sbagliate, quelle di cui, in verità, non m’importa nulla. Non posso continuare a comportarmi come chi non vuole rompere niente. Non sono un elefante e questa vita, per dio, non è una cristalleria!
È la vecchia teoria del cambiamento: non può avvenire senza traumi. Tutto il resto è solo un’utopia, una bella favoletta che ci piace raccontarci per dormire tranquilli la sera. Ma arriva il momento in cui, nonostante tutto, continui a girarti e rigirarti sotto quelle stramaledette coperte ed allora non puoi fare altro. Apri gli occhi e ti guardi attorno. Una solo pensiero ha davvero importanza: capire quale, tra le tante, è la cosa che dovrai spaccare.




Ettore Zani – Ottobre 2009


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