sabato 14 luglio 2007

Nato da una sega


La prima volta che baciai una ragazza avevo quindici anni. A dire la verità fu lei a baciare me ma il risultato non cambia. Come si dice? Modificando l'ordine degli addendi la somma rimane invariata. Non è proprio la pura verità ma accontentiamoci di un'approssimazione. Poi, sarà pure banale, ma cavoli tutta quella lingua in bocca! Non c'ero mica abituato.
Vi descriverò la scena, cosi avrete modo di comprendermi, ma prima un piccolo background conoscitivo.

Il mio nome è Alfonso (già da solo porta in se tutta la mia disgrazia; ed è solo il nome), mio padre lavorava presso l'ATM come autista. Ora è pensionato ma le sue mansioni in casa non sono variate molto da allora, prima arrivava alle venti, mangiava la cena, guardava la tv, si toglieva la camicia e alzava il riscaldamento perché in canotta sentiva freddo. Adesso arriva alle venti, mangia la cena, esce alle ventuno con la tv quattro pollici in tasca e non si toglie la camicia perché fuori fa troppo freddo, però alza lo stesso il riscaldamento prima di andarsene. Sarà l'amore per le abitudini. Ah, dimenticavo: si chiama Fausto. Mia madre invece, si chiama Egidia, ha alle spalle una lunga carriera come casalinga. È un asso del ferro da stiro e non ha rivali con la calzamaglia. Ha un pessimo rapporto con la tecnologia e ha imparato a memoria soltanto come far partire la lavatrice, ancora oggi però si spaventa quando comincia a centrifugare. Ha paura che scoppi dice, eppure non si fa problemi a fare il caffè con la grappa quando mio padre vuole ricordarsi dei bei tempi andati, quando da giovane faceva il maestro di sci nel suo paesello di montagna. La lavatrice non è mai scoppiata, la moca del caffè quattro volte; con relativa scorta di "Foille" in casa. Ovviamente, come in ogni famigliola quasi borghese che si rispetti, in famiglia c'è anche una figlia, mia sorella maggiore (si chiama Giovanna ma la chiamiamo tutti Gege; non so perché) che a tredici anni, quando io ne avevo otto, si vestiva come madonna, quella di a letto con; a quindici era passata alla fase Dolores O'Riordan rischiando di soffocare nel mascara; a diciotto la mamma l'ha trovata svestita in casa e non era sola; adesso ne ha venticinque, si sta laureando e solo perché sta col suo ragazzo da addirittura sei mesi per tutti è diventata la santa della casa, ma a me non la da a bere.
Io invece mi vesto ancora come a otto anni, o quasi: scarpe da ginnastica, tanto anche se sudo non mi puzzano i piedi, pantaloni neri o bianchi, non mi so decidere, maglietta girocollo di una taglia sopra che tanto sono abbastanza magro. D'inverno felpa e d'estate maniche corte. Facile no?

*****

Adesso possiamo finalmente tornare a quella notte di capodanno di cinque anni fa, quella della lingua in bocca per intenderci. Lei era una mia compagna di classe, non molto bella ma neppure un cesso, non molto simpatica ma neppure una stronza, l'unica cosa che aveva in abbondanza era la decisione e ne aveva per tutti e due perché se no a quest'ora sarei ancora illibato.
Truccatissima, com'è d'uopo l'ultimo dell'anno, aveva ballato più volte sotto la distanza di sicurezza che di solito tendevo a tenere con le ragazze. Aveva fatto alzare la mia temperatura corporea non indifferentemente, insomma sudavo come un maiale sotto quella dannata maglia che chissà perché non mi decidevo a togliere e annodare in vita. Sarà per la maglietta dell'orso Yoghi che portavo sotto?! A mezzanotte esatta, l'ora dei fuochi, era sparita con tutti gli altri, uscita a far chiasso con i petardi che io invece odiavo e odio tuttora.
Ero rimasto solo nella sala. Cioè solo, ero il solo nella sala a stare da solo, perché tutti gli altri stavano già, non mi ricordo come si diceva allora, slimonando, slinguando, baciandosi insomma. Ed ecco il momento magico, ecco che anche le mie campane si sono messe a suonare, ecco che una dolce mano si è appoggiata alla mia spalla, ecco che una vocina dolce mi fa: "Ehi, Alfonso che cazzo fai!". Non troppo dolce a dire il vero. Comunque fosse mi sono girato ed eccola lì di fronte a me che si teneva stretto forte un dito. "mi sono scottata" mi fa. "fammi vedere" le rispondo, e lei mi piazza il dito a due centimetri dal naso e si mette a ridere. Allora rido anche io, allora anche lei continua a ridere e io pure...
Dev'essere stato a quel punto che si è accorta che con me non era cosa facile perché il dito di fronte al naso si è avvicinato ancora e con tutta la mano si è stretto dietro la nuca, poi non mi ricordo bene come abbia fatto a farlo, ma l'ho fatto, ho avvicinato il mio volto al suo finché non ho incontrato le sue labbra. Ricordo di aver pensato che avevano un sapore meno salato di quanto immaginassi, poi lei ha spinto con la lingua e, anche se un po' impacciato sulle prime, mi sono lasciato andare. Alla fine credevo di essere un dio, credevo di essere stato bravissimo e di poter fare invidia a Clark Gable. Poi lei mi ha detto: "Sei un disastro Alfi!" ma ha sorriso per cui sul momento mi sono avvilito solo a metà, infine si è accorta dell'erezione e ho perso quel che rimaneva del mio orgoglio. Quando l'ho raccontato a Roberto, non dico che non mi voleva credere, ma ancora non capisco perché voleva chiamare il 118. Comunque mi ha dato dello scemo e mi ha detto: "Chi non scopa a capodanno non scopa tutto l'anno, ricordatelo!". Mia sorella invece, non so ancora come abbia fatto a scoprirlo, mi ha dato una pacca sulla spalla forte come non mai e quasi con le lacrime agli occhi ha proferito: "Finalmente, bravo il mio fratellino!" e poi è andata in discoteca con gli amici. Questa fu l'unica volta che mi parlò seriamente: bravo fratello adesso sei un uomo, credo che volesse dire, ma deve aver cambiato idea in fretta poi, anche se non mi ha più beccato a masturbarmi da allora.

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"Devi essere nato da una sega", non lo dimenticherò mai: le prime parole di Carla (la lei del bacio) quando mi rivide a scuola il sette gennaio seguente, e non lo disse mica a bassa voce, quella... quella... quella vipera. Rimasi di sasso, zitto e livido in volto come un calamaro lesso, come una seppia senza il nero di seppia, come una caccola sul dito. Inebetito insomma. Mi bruciò dentro per lunghi giorni, la mia prima delusione amorosa. Eh si, il mio primo amore era durato settanta secondi di bacio e sette giorni di sogni ad occhi aperti aspettando accanto al telefono che mi chiamasse. Ovviamente ero io che dovevo chiamare lei, probabilmente lo capivo pure allora, ma mi guardavo bene dall'ammetterlo. E poi, e poi in un niente, in sole quattro parole, una proposizione e un articolo indeterminativo tutto il mio bel castello di sabbia aveva fatto conoscenza con un Caterpillar. Roberto seduto al banco vicino al mio rideva sotto ai baffi, il resto della classe faceva finta di non aver sentito ma eccome che aveva sentito e me lo fece notare all'ora di matematica.
Gregori era interrogato e come al solito faceva scena muta, doveva solo svolgere un'equazione lineare ma lui nada, nisba, rien, vuoto cosmico. Allora Bellucchi dall'ultimo banco della classe pensò bene di gridare: "ma come Gregori non ce la fai? Ma sei proprio nato da una sega!" però guardava me, non verso la lavagna. La prof. s'incazzò, ma non abbastanza oso dire, l'avesse sospeso all'istante io sarei corso a baciarle i piedi, mentre invece lo chiamò solo alla lavagna; ma Bellucchi era bravo in matematica. E cosi mentre m'arrovellavo immaginandomi equazioni impossibili in settecento incognite cannibali, che divoravano il Bellucchi sputando di tanto in tanto un osso, non mi ero accorto di come Carla mi guardava: pentita.

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"De Lorenzo vedi un po' di abbassare la cresta eh, questo è l'ultimo tema dell'anno, se non prendi almeno sei e mezzo ti boccio! Capito!". Colucci era il nostro prof. d'Italiano, lo chiamavano il mastino ma non era male in realtà, fu l'unico che in cinque anni riuscì a farci capire l'analisi grammaticale e addirittura qualcosa della logica, penso che dovremo essergli grati in futuro se riusciremo a compilare il modulo della previdenza sociale, perché senza di lui la maggior parte della classe avrebbe a fatica scritto una frase ipotetica corretta.
Io stavo elucubrando allegramente sul "signore degli anelli", non senza vantarmi almeno un poco di sapere che J.R.R. sta per John Ronald Reuel. Il tema era: "L'importanza degli eventi nella vita: momenti di felicità, di tristezza, di coraggio e di rimpianto", titolo che nei più aveva suscitato una nota di soffuso ribrezzo. Roberto stava parlando del padre nel suo tema, mi faceva un po' pena: suo padre era peggio del mio, beveva come una spugna e ruttava come un cinghiale di montagna; ma ad ognuno la sua guida, il suo mentore e modello di vita. Ero contento di non essere Roberto a volte. Quando ebbi finito di scrivere la brutta chiesi di andare in bagno come facevo sempre, mi alzai e diressi con passo sicuro verso la porta pregustando quei cinque minuti di libertà e ozio nei cessi. Mi ha sempre reso felice trovarmi in un bel cesso piccolo, e magari anche puzzolente, sentendo il fiume di acido urico scaricarsi prepotente dal mio corpo per tornare ad essere parte del mondo circostante, anche se non lo direi mai al mio analista.
Fui di ritorno nel giro di pochi minuti comunque, mi sedetti al banco di piglio buono per iniziare la mia opera di ricopiatura ma c'era qualcosa che non andava: non era la mia la calligrafia rotondeggiante impressa sul foglio che avevo di fronte. Era il tema di qualcun altro. Lo presi tra le mani e lessi l'intestazione: "Tema. Di Carla Sistri", lo rigirai guardandolo a occhi sbarrati, eh sì, era proprio il suo tema! Mi voltai verso il suo banco ma Carla stava a capo chino sul foglio facendo finta di ricopiare. Il mio foglio si trovava sotto, ma non ci feci più caso e iniziai a leggere. Ecco, ci sono delle volte nella vita di una persona che ci si sente proprio stronzi. Quella fu la prima per me, devo dire, in effetti, che Carla è stata il leit motif di tante prime volte nella mia vita. Dall'episodio della battuta sfortunata sulle progeniture e le abitudini sessuali di mio padre non le avevo più parlato, anzi avevo iniziato a comportarmi da snob nei suoi confronti, facendole pesare più di una volta la sua presenza in classe con battute un po' maschiliste. Nulla di troppo pesante eh, ci andavo leggero come un elefante indiano che fa la morte del cigno. Non avevo più incrociato il suo sguardo, se non con aria di sfida, e mai avevo realmente notato cosa mi rispondessero i suoi occhi, eppure era riuscita a fare in modo di dirmelo con quel suo tema.
"... i momenti del rimpianto sono tanti nella vita di una persona, non vanno dimenticati perché sono le memorie dei nostri errori, sono l'alone blu dell'occhio pesto che ci portiamo dietro dopo una scazzottata. Io ne ho uno in particolare che non voglio dimenticare, ma che vorrei comunque poter cambiare in meglio, vorrei poter cambiare nel motivo di una risata tra amici, vorrei far diventare come una piuma leggera mentre invece è un macigno pesante. Ho ferito un mio amico, gli ho detto delle cose cattive e stupide e non ci sono parole migliori per scusarsi che non: scusami ho sbagliato... Penso che sarebbe bello se potessimo dirle con serenità, tutti in coro. Trasformeremmo i momenti di rimpianto in momenti di felicità, i momenti di debolezza in momenti di coraggio. Per questo voglio ripeterle: scusami, ho sbagliato. Se le pronuncio a bassa voce sento già che il peso si scioglie e s'alleggerisce il cuore."

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"Alfiiiiiii, Alfiiiii, dove vai? Ricordati di comprare il latte se esci!". Mia madre, in ciabatte e vestaglia, mi ha beccato in pieno mentre cerco di sgattaiolare fuori. Purtroppo l'adolescenza ha portato con se anche sette centimetri d'altezza di troppo in quest'ultimo anno e non riesco più a passare dal corridoio nascondendomi dietro il vaso di fiori in formato extra large, sono io troppo extra long adesso. Mio padre invece è spaparanzato sul divano.
"okkkeiiiii mamma!" le rispondo rassegnato, "ma non so a che ora torno, vado da Carla". La mamma sta stirando, alza gli occhi e mi guarda un po' intontita, poi dice: " ha telefonato Roberto, dice di portargli il coso là, il ciddì di uinnovantotto, ma cos'è scusa? E poi, ma la Carla non è quella ragazza del liceo che odiavi?" Non c'è da preoccuparsi, la mamma sembra scema ma in realtà è solo che certe cose non sembrano entrarle in testa, la tecnologia e la vita sessuale del figlio poi sono completamente inesistenti nel suo universo personale. O forse fa solo finta, bah?"mamma, è un cd, un disco di dati, capito? E guarda che con Carla esco da quasi un anno a Febbraio".
Sulla porta inceppo in mia sorella che torna da lezione, "ciao Gege, glielo fai capire tu a mà che faccio l'ITIS?"


Zani Ettore - Gennaio 2002

2 commenti:

Anonimo ha detto...

il mondo è davvero piccolo, ettorino...;-)))
arrivo in tempo per certificare che questo è uno dei tuoi migliori racconti, che tanto successo ebbe in altre lande.
ti ho appena linkato, tanto da non riperderti più.

EttoreBilbo ha detto...

ola Cyb...
benritrovato ;-)