sabato 28 novembre 2009

Arrivano


Filippo fischiò dalla strada alle tre del pomeriggio.
Mi affacciai alla finestra. Gridò: “Arrivano”.
Fu come osservare un quadro al museo. Un cielo azzurro da sbatterci la testa e sul fondo qualche puntino nero che, non sai perché, immagini denso di significati.
Come ogni anno. Arrivano. Gridò.
Non ristetti molto al davanzale e presi le scale per correre alla palude con Filippo. Pochi istanti e i tuoni sarebbero esplosi dentro le nostre orecchie. Lunghe fucilate provenienti dalle casupole nascoste sotto le frasche. Filippo ed Io ci mettemmo a gridare con tutta la forza. “Qua qua qua, via di qua anatre! Via di qua stupide.” Attorno, i colpi di fucile come fiori che sbocciassero troppo in fretta, petali rossi che si aprivano nei petti delle anatre lassù nel cielo. E per terra noi due. Dieci anni. Dieci secondi. Ci rincorremmo in tondo aprendo le ali piumate spuntate tra le braccia, attenti a non farci scorgere dai cacciatori appostati più avanti.
Poi gridai: “Se ne vanno”. Filippo fece di sì col capo e mi sorrise.
Prendemmo la via verso la foce del fiume prima che qualcuno potesse vederci. Verso il mare. Si vedeva da lontano il mare, oltre lo specchio dell’acqua che scivolava sotto i nostri piedi. Piedi giganti ed enormi di bambini soddisfatti, persi fra i giunchi e i batuffoli di vegetazione della palude.
Il sole sembrava calare in fretta. Invece rimaneva appeso lì per delle ore.
“Domani stai di guardia tu”, mi disse Filippo.
Io feci di sì col capo.
Non c’era bisogno di aggiungere altro.


Zani Ettore - Aprile 2006

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