giovedì 19 febbraio 2009

Il viaggiatore stanco

Nell’ora che sta quasi per salutare il sole, quando sul profilo più lontano del mare comincia a spargersi un’ombra arancione, la marea sale verso il porto della grande e antica città. L’acqua sommerge lentamente i pali di legno a cui sono attraccate le numerose barche e s’infiltra in tutte le piccole insenature spoglie della costa frastagliata. Scaccia i granchi dalle loro tane, quasi volesse avvertirli che è ormai giunta l’ora di uscire allo scoperto per andare a procacciarsi il cibo.
In quell’ora soffia il vento dal mare e come un grande esercito, unito nell’attacco, si abbatte contro ogni muro e contro ogni bastione. C’è però un refolo ribelle tra quelle fila, poco più di un alito che insubordinato fugge via dall’avanzata. S’intrufola tra due grandi e ripide scogliere poste in parallelo, ad est della baia sulla quale si affaccia la città, ed in quella stretta via percorre molta strada, gioendo della calma conquistata. Accarezza la barba verde della terra, che in quei luoghi cresce rigogliosa, protetta dalla salinità del mare e dall’impeto dei venti più burberi. Poi risale in alto spinto dal riverbero del sole sopra una zona rocciosa ed infine, raccogliendo le forze per un ultima corsa, si lancia in picchiata oltre le mura sud della città, che s’affacciano sull’entroterra.
Lui, piccolo ed insignificante ribelle, l’unico ad aver attraversato quell’impedimento che ancora continua la sua dura lotta contro le armate che vengono dal mare.
Giunge infine alle porte del palazzo reale, e ad esso si inchina, spegnendosi pian piano contro i terrazzi più alti, appena sotto la torre. Entra in una finestra già esangue, alla ricerca di un bel cantuccio polveroso dove morire felice guardando i batuffoli rotolare sul pavimento ma poi si accorge del dolce letto che lo aspetta annidato tra le chiome corvine di una fanciulla.
È, questa, la figlia del Marajà che con sguardo accigliato veglia un vecchio nel suo letto. Il refolo le scompiglia un ciuffo facendolo ricadere sugli occhi e mentre la giovane se li riaggiusta con una mano il soffio ride per un’ultima volta ripensando al proprio viaggio libero e felice. Ha finalmente trovato la pace in quei capelli ed esala il suo ultimo respiro contento.
La figlia del Marajà, invece, non trova pace perché quel vecchio stanco che le si trova innanzi è il padre del suo innamorato, che tante volte quando era ancora bambina l’aveva tenuta sulle ginocchia raccontandole una storia incredibile. Quelle storie che solo lui poteva conoscere, l’ambasciatore del Marajà presso tutti i popoli del mondo.

- Entra, non stare dietro la porta ti prego – sussurra la ragazza rivolgendosi verso lo stipite.

Il battente si scosta un poco, sembra provare ritrosia esso stesso per chi nasconde dietro di se. Poi invece si spalanca di colpo rivelando la figura slanciata di un giovanotto nel pieno del proprio vigore. Questi porta sul viso i segni della sofferenza ma non riescono, né le rughe del pianto, né le borse sotto gli occhi o quel sorriso forzato appeso sciattamente sopra il mento ad attutire l’impatto della sua bellezza. Egli è degno della figlia del Marajà ed è degno del padre morente che con pudore guarda soltanto ora, incapace di accettare una sorte che, ben sa, si devono aspettare tutti e che, sorniona, rimane nascosta dal battente di una porta, com’era lui poco innanzi; sebbene questa sia una porta ben più misteriosa di quelle quattro assi che nascondevano lui.

- Come hai fatto a sentirmi? - Domanda alla figlia del Marajà

- Forse il tuo dolore ti ha turato le orecchie, ma i tuoi singhiozzi sembravano il mare quando s’infrange sugli scogli – risponde la ragazza accennando un sorriso – e poi, saperti la dietro, nascosto, mi faceva sentire angosciata… come se fossi in attesa, come se anche tu…

China il viso tra le mani.

- Javanna…

- Oh Amed, perché deve morire?

- Javanna, cosa direbbe tuo padre se vedesse la tua bellezza sciuparsi in tante lacrime. Lascia a me il pianto e torna nelle tue stanze dove le ancelle ti potranno rincuorare con i canti e le danze. Per favore.

Javanna non risponde neppure, si avvicina ancora più al letto del vecchio e ne stringe la mano. La sente ancora calda, ma le pare anche che ogni secondo che passa quel calore si allontani dal corpo del vecchio ambasciatore, da lei, da Amed e da tutto quanto li circonda.

- Che figura magnifica quella del viaggiatore – esclama d’un tratto, gli occhi illuminati da una nuova luce. - Quand’ero soltanto una bambina tuo padre sapeva stupirmi sempre con quel suo raccontare allegro e spensierato. Mi prendeva sulle ginocchia e stava ore a parlarmi dei cinesi con i loro buffi codini e le barbette, o dei veneziani e della loro città sospesa sull’acqua. È pensando a questo che mi rincuoro, non con le danze delle mie ancelle.

- Scusami – ribatte il giovane Amed – anche tu eri come una figlia per lui ed hai il mio stesso diritto di piangerlo e lo stesso diritto di ricordarlo nei giorni felici.
Sì mio padre è sempre stato un viaggiatore, un errabondo che vagava di città in città portandosi appresso la parola del suo padrone, tuo padre il Marajà, ed amava questo mestiere come amava la vita stessa. Quando era qui al palazzo i suoi piedi battevano sui pavimenti scalpitanti dalla voglia di ripartire e sebbene il suo cuore lo legasse a me, e a te, ancora in giovane età, ogni altra parte del suo corpo era sempre pronta a ripartire. Come se sentisse che sotto i suoi piedi il mondo non si era mai fermato e non volesse essere da meno. Come le stelle in cielo, e i pianeti, come tutto nell’universo è in movimento così doveva essere anche lui. Libero, lontano dalle strade più battute, sempre solo in quella sua folle corsa anche tra le migliaia di persone di una città, che per quanto lontana fosse, non lo era mai abbastanza.
Ma ora è stanco, o forse solo appagato, perché di due tipologie ben distinte sono i viaggiatori: quella di chi si sazia del mondo fino a nausearsene, nel bene e nel male, e quella di chi lascia che sia il mondo a saziarsi di lui, senza mai porsi domande inutili…

- A quale di queste appartiene tuo padre, amed?

- E come faccio a saperlo? Non gliel’ho mai domandato né mai ne ho avuto il tempo siccome non c’era mai.
Forse alla seconda, quella che alla fine si stanca e basta, non del mondo o dei viaggi, ma si stanca perché semplicemente invecchia.

Javanna si gira per scrutare sul volto del vecchio i segni della sua stanchezza, come se volesse indovinare che tipo di viaggiatore sia quell’uomo dalle rughe che raccontano le sue avventure.
In effetti la pelle, lisa dal tempo come una tela più e più volte ripiegata, è sottile e pallida, ma i tratti del viso rimangono sereni e da essi non traspare alcun ombra di quella nausea o quella insofferenza che accennava prima Amed. Il vecchio ambasciatore è solamente un uomo vecchio e stanco le cui gambe non ubbidiscono più al richiamo naturale che le aveva sempre fatte muovere.

- sai Javanna, alcuni degli astronomi del Marajà dicono che anche le stelle muoiono, sembra impossibile, ed anzi tutti li deridono, ma se davvero fosse così allora penso che una ne stia morendo proprio ora, che si stia fermando. La stella di mio padre.

- Ma davvero il mondo può portare a quella noia che dicevi prima? Amed, com’è possibile che le meraviglie che mi raccontava tuo padre possano infine stancare, se nemmeno tuo padre che ne ha viste a milioni se ne è mai lamentato?

- Il mondo non è pieno solo di quelle meraviglie che mio padre raccontava a te Javanna, c’è ben altro ed a volte è terribile. Mio padre ha visto guerre e malattie, ha visto gli occhi affamati dei bambini, le piaghe purulente dei lebbrosi, le rovine degli imperi caduti. Stancarsene o meno, però, non credo che sia una scelta. Alcuni hanno fede nella bellezza e continuano a cercarla, altri invece non vogliono più correre il rischio di imbattersi in quanto di più brutto c’è mentre si tenta di trovarla.

Javanna è incredula di fronte agli occhi di Amed ed alla sua fronte alta che sembra una mezzaluna rigonfia di verità. Quando il vecchio morirà sarà il giovane a prendere il suo posto, sarà il suo Amed a partire per viaggi lunghi e pericolosi.
È già così saggio eppure ancora così giovane, pensa la ragazza, chissà che tipo di viaggiatore sarà? Se come suo padre si spegnerà pian piano senza mai lagnarsi dell’indigesta crudeltà nel mondo, o se invece ne soffrirà, incapace di avere fede nel futuro o nella provvidenza. E chissà se mai avrà la forza di cambiare le cose? Se una volta stanco ed annoiato del mondo combatterà la sua battaglia o scivolerà via indifferente? Quante possibilità che lo aspettano e con lui aspettano lei, si domanda.

- Perché ci spostiamo sempre Amed? A cosa serve non piantare mai in profondità i pali su cui costruire la propria casa?

- E a cosa serve rimanere fermi Javanna? Se sapessi rispondere a una sola di queste due domande sarei un uomo contento, ma non ne sono in grado così come non sono in grado di trattenere mio padre ora che sta partendo per un viaggio ancora più grande di tutti i suoi altri viaggi. Non avrà più bisogno delle gambe per camminare, né degli occhi per vedere la strada.
Mi sbagliavo prima Javanna, un viaggiatore non è mai stanco, né mai angustiato dalle sue peripezie – anche il giovane si avvicina al letto e finalmente stringe la mano del padre – solamente, ad un certo punto, va oltre i confini che lo avevano sempre circondato, dove la bellezza non è più solo una parola e dove le cose che la ispirano non sono più fatte di grezza materia. Ed anche se davvero fosse stanco, ci sono viaggi a cui non ci si può opporre, così come questa notte che è ormai scesa ed a cui non mi posso ribellare.

Il mare ha inghiottito tutto ciò che doveva, lasciando l’altra metà del creato al buio. Il vento che spazzava verso la costa si è finalmente quietato.
In una finestra lontana, sotto la torre del palazzo reale, un vecchio morente ha preso con se poche cose, le ha private della sostanza e le ha chiamate ricordi, poi è partito come un viaggiatore stanco rinfrancato dalla frescura notturna. Si è diretto verso un altro mondo lasciando in questo quel vento insolente che ogni sera combatte la propria battaglia conto le mura della città, ha preso con sé solo un alito già morto, rannicchiato felice tra i capelli di una bellissima ragazza.


Zani Ettore – Gennaio 2005

2 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Perche non:)