giovedì 6 marzo 2008

Vita nuova

Nel corso degli anni avrebbe avuto molte occasioni per ripensare a come sarebbe cambiata la sua vita se avesse permesso all’autista di riaccompagnarla a casa, se non avesse urlato: “Fermati!” tanto improvvisamente da farlo sobbalzare sul trespolo di quel tram, e non fosse saltata giù appena aperte le porte senza degnarlo d’uno sguardo. Pover’uomo, si doveva esser immaginato chissà quale disgrazia, ma non era una disgrazia, era la sua vita che per la prima volta esigeva una ricompensa, per la prima volta decideva che una seconda chance le era dovuta. Era ancora tanto giovane, ma per un attimo i suoi occhi si erano guardati da un altro luogo, da un futuro forse non troppo lontano e si erano domandati quale vita, quale, fosse più giusto vivere...
Era scesa al limitare dell’area di sosta, un piede le era scivolato oltre il marciapiede finendo dritto in una pozzanghera lasciata lì, come monito ai passanti, dalla pioggia del mattino. Imprecò poco decorosamente per una ragazzina della sua età e poi, dimentica, si mise a correre.
Che importava allora del semaforo rosso o di quel motorino che dovette frenare all’ultimo? Che peso avevano tutti i passanti che da scansare a forza? Nessuno sulle ali di quella sua improvvisa decisione. Il piede le doleva un poco, gli occhi erano rigati di lacrime che non sapeva da dove venissero, se dalla tristezza di poco prima o dall’eccitazione di quella folle corsa che la stava trascinando via. Il cuore batteva all’impazzata, superando il ritmo dei passi sull’asfalto e correndo oltre, già prossimo ad incontrare lui, a stargli di fronte ed aprirsi, fosse anche frantumarsi, spezzarsi, purché per una volta agisse veramente. Ora lo vedeva: era in fondo a quella strada. Avrebbe voluto urlare per dirgli di fermarsi ma era senza fiato. E sia, si disse, ripiomberò nella sua vita come un’improvvisa folata di vento e che importa poi di quel che sarà, siamo in autunno ed in autunno il vento è padrone della propria esistenza.
Lo raggiunse all’ingresso del parco cittadino, lo travolse quasi senza aver più l’animo di dire una parola e se ne stette cosi un poco, gli occhi colmi di una luce nuova e il busto piegato per riprendere fiato.
Lui la guardava stupito, senza avere il coraggio di essere il primo a parlare anche se nello sguardo s’intravedevano tante domande. Le sue mani frugavano tra i capelli alla ricerca di un perché. Era scocciato, credeva di aver detto tutto là dove l’aveva lasciata, alla fermata del tram ed invece se la ritrovava ancora attorno.
Lei capì. Solo un attimo prima era sicura che gli avrebbe urlato in faccia: “Ti amo” e che la semplice forza di queste parole sarebbe bastata, ma da dove stava adesso, china sull’asfalto coi polmoni in lotta con il freddo e l’umidità dell’aria questa certezza si era tramutata. Si alzo piano, ancora frastornata da quell'ultimo spasmo che l'aveva travolta, quasi fosse stato l'ultimo respiro di un condannato a morte.
“Ma vaffanculo”, disse invece. E di colpo le tornò il sorriso. Quei suoi occhi che da dentro si scrutavano sorrisero anche loro: era finito il primo amore, era iniziata una vita nuova.
Poi tornò verso il tram.
Lentamente, molto lentamente.


Zani Ettore – Settembre 2007

3 commenti:

Anonimo ha detto...

carino...
:)

EttoreBilbo ha detto...

grazie del passaggio medea...
bai bai
Ettore

Anonimo ha detto...

Eh, quella capacità di passare dalla tragedia dello psicodramma alla più leggera delle spensieratezze... età dell'oro, quella, peccato che quando ci siamo non ci se ne renda conto.
A parte che io di queste schizzofrenie le vivo ancora... sono giovane dentro... :)
Baci.