Eravamo in due, cioè eravamo io e Lucille. Si gattonava dalle parti del fiume, sera tardi non ricordo bene.
Era da un pezzo che continuavamo a parlare della solita cosa, almeno da tre o quattro incontri. Alla fine si arrivava a quel discorso, ci si girava attorno più o meno delicatamente ma alla fine sembrava che le cose si magnetizzassero allo stesso modo. I nostri pensieri cominciavano a vacillare attratti da quel centro di gravità ed infine vi sprofondavano, così anche quella sera le cose presero la solita piega.
Il lungofiume scorreva sulla destra, in direzione dell’attracco per i rimorchi delle chiatte. Si trattava di una strada sgangherata che nessuno usava più da quando l’interstatale sette era stata completata. Io e lei camminavamo stretti l’uno accanto all’altra, quasi incastrati muovendo i passi a ritmo per non intralciarci, di tanto in tanto ci sbaciucchiavamo un poco; si era anche sbronzi, non ricordo di quanti bicchieri ma qualcosa in più del solito. Quattro o cinque giri. Vodka e succo d’arancia.
Fammi uno screw driver, urlava Lucille al barista e quello obbediva ogni volta. Ci godeva a vederla ubriaca, il bastardo, perché Lucille perdeva il senso del decoro e diceva cose oscene, parolacce. Anche io mi ubriacavo e non la tenevo a bada, anzi le davo corda. Sapevamo entrambi che più tardi avremmo ripreso il discorso ed allora bevevamo per prepararci ad affrontarlo.
Arrivati ad una certa altezza si scendeva da una scalinata stretta che portava ad uno spiazzo direttamente sul fiume. Un porticciolo in miniatura per qualche barca di pescatori. L’acqua sciabordava mansueta come si vede nei film romantici, solo più nera. Continuammo a toccarci ancora un poco e baciarci. Lucille sembrava averne voglia ma io non me la sentivo molto a dire il vero. Era freddo e la sera non era quella giusta. C’era qualcosa nelle nuvole che non mi piaceva: erano basse e si muovevano veloci. Ricordo di aver guardato su, mentre ci carezzavamo, e di aver pensato - per una attimo, uno solo - che la luna si stesse muovendo velocissima e dovesse cadere nel fiume. Erano le nuvole invece a scivolarle sotto la pancia, trainate dal vento, che sopra l’altezza delle case soffiava più forte. L’effetto ottico però era quello: della luna che si muoveva veloce, quasi avesse voglia di tuffarsi.
Poi Lucille mi domandò se avrei avuto il coraggio. Io feci finta di nulla, per un po’, ma lei insisté domandando ancora: “allora c’è l’avresti il coraggio di ammazzarmi se te lo chiedessi, sì o no?”.
“Certo che lo avrei”, le risposi. Ero infastidito.
“Fallo!”.
“Cosa? Dai non dire sciocchezze… perché dovrei ucciderti?”, la guardai negli occhi, “perché proprio ora intendo, perché non domani o domani l’altro o che ne so, dopo.”
“Perché te lo chiedo”, mi fece, con calma, con sicurezza.
Mi guardai la punta delle scarpe, poi provai a baciarla di nuovo. Le infilai la mano sotto la maglia e tastai l’ombelico. Sentii un brivido di freddo percorrerle la pancia.
“Hai detto che lo faresti no? Perché mi ami e faresti ogni cosa per me”.
“Si l’ho detto” ma continuavo a muovermi là sotto; cercavo di arrivare al seno e di stringerlo forte, che non mi sfuggisse. Prestavo poca attenzione alle parole perché volevo chiudere quella storia. Ero stufo di parlare di morte. D’un tratto mi era venuta voglia di farlo. Proprio lì, proprio ai bordi di quel fiume nero che sembrava l’anima di un condannato e ci viaggiava accanto, diretta verso dio solo sa quale inferno. Ma lei mi disse di smetterla.
“Ho freddo”, tremò fra le labbra. Allora io mi tolsi la giacchetta che indossavo. Era abbastanza leggera comunque, e la infilai sulle sue spalle cercando di scusarmi con gli occhi perché sapevo che non avrebbe fatto granché.
“Non importa” sembrò leggermi nel pensiero, poi aggiunse: “tanto non ho voglia di morire”.
Riprendemmo la strada e ci dirigemmo verso casa. Una chiatta ci stava passando accanto proprio in quel momento, trainata dal suo rimorchio verso la bocca di un inferno qualunque.
Zani Ettore - Gennaio 2005
Era da un pezzo che continuavamo a parlare della solita cosa, almeno da tre o quattro incontri. Alla fine si arrivava a quel discorso, ci si girava attorno più o meno delicatamente ma alla fine sembrava che le cose si magnetizzassero allo stesso modo. I nostri pensieri cominciavano a vacillare attratti da quel centro di gravità ed infine vi sprofondavano, così anche quella sera le cose presero la solita piega.
Il lungofiume scorreva sulla destra, in direzione dell’attracco per i rimorchi delle chiatte. Si trattava di una strada sgangherata che nessuno usava più da quando l’interstatale sette era stata completata. Io e lei camminavamo stretti l’uno accanto all’altra, quasi incastrati muovendo i passi a ritmo per non intralciarci, di tanto in tanto ci sbaciucchiavamo un poco; si era anche sbronzi, non ricordo di quanti bicchieri ma qualcosa in più del solito. Quattro o cinque giri. Vodka e succo d’arancia.
Fammi uno screw driver, urlava Lucille al barista e quello obbediva ogni volta. Ci godeva a vederla ubriaca, il bastardo, perché Lucille perdeva il senso del decoro e diceva cose oscene, parolacce. Anche io mi ubriacavo e non la tenevo a bada, anzi le davo corda. Sapevamo entrambi che più tardi avremmo ripreso il discorso ed allora bevevamo per prepararci ad affrontarlo.
Arrivati ad una certa altezza si scendeva da una scalinata stretta che portava ad uno spiazzo direttamente sul fiume. Un porticciolo in miniatura per qualche barca di pescatori. L’acqua sciabordava mansueta come si vede nei film romantici, solo più nera. Continuammo a toccarci ancora un poco e baciarci. Lucille sembrava averne voglia ma io non me la sentivo molto a dire il vero. Era freddo e la sera non era quella giusta. C’era qualcosa nelle nuvole che non mi piaceva: erano basse e si muovevano veloci. Ricordo di aver guardato su, mentre ci carezzavamo, e di aver pensato - per una attimo, uno solo - che la luna si stesse muovendo velocissima e dovesse cadere nel fiume. Erano le nuvole invece a scivolarle sotto la pancia, trainate dal vento, che sopra l’altezza delle case soffiava più forte. L’effetto ottico però era quello: della luna che si muoveva veloce, quasi avesse voglia di tuffarsi.
Poi Lucille mi domandò se avrei avuto il coraggio. Io feci finta di nulla, per un po’, ma lei insisté domandando ancora: “allora c’è l’avresti il coraggio di ammazzarmi se te lo chiedessi, sì o no?”.
“Certo che lo avrei”, le risposi. Ero infastidito.
“Fallo!”.
“Cosa? Dai non dire sciocchezze… perché dovrei ucciderti?”, la guardai negli occhi, “perché proprio ora intendo, perché non domani o domani l’altro o che ne so, dopo.”
“Perché te lo chiedo”, mi fece, con calma, con sicurezza.
Mi guardai la punta delle scarpe, poi provai a baciarla di nuovo. Le infilai la mano sotto la maglia e tastai l’ombelico. Sentii un brivido di freddo percorrerle la pancia.
“Hai detto che lo faresti no? Perché mi ami e faresti ogni cosa per me”.
“Si l’ho detto” ma continuavo a muovermi là sotto; cercavo di arrivare al seno e di stringerlo forte, che non mi sfuggisse. Prestavo poca attenzione alle parole perché volevo chiudere quella storia. Ero stufo di parlare di morte. D’un tratto mi era venuta voglia di farlo. Proprio lì, proprio ai bordi di quel fiume nero che sembrava l’anima di un condannato e ci viaggiava accanto, diretta verso dio solo sa quale inferno. Ma lei mi disse di smetterla.
“Ho freddo”, tremò fra le labbra. Allora io mi tolsi la giacchetta che indossavo. Era abbastanza leggera comunque, e la infilai sulle sue spalle cercando di scusarmi con gli occhi perché sapevo che non avrebbe fatto granché.
“Non importa” sembrò leggermi nel pensiero, poi aggiunse: “tanto non ho voglia di morire”.
Riprendemmo la strada e ci dirigemmo verso casa. Una chiatta ci stava passando accanto proprio in quel momento, trainata dal suo rimorchio verso la bocca di un inferno qualunque.
Zani Ettore - Gennaio 2005
2 commenti:
screw driver come miccia a far detonare qualcosa di più sospesa tra malessere e angoscia.
lo scenario fa il resto.
tu mantieni i nervi saldi e l'equilibrio: mi sa che in comitiva sei sempre quello che guida la macchina, eh?...;-))
mmm, ne dubiterei se fossi in te ;-)
bai bai
Ettore
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