venerdì 19 dicembre 2008

Plop


Il bambino era nascosto sotto la scala esterna, in quel piccolo andito scuro che si veniva a creare, riparato dal vento e dal sole. Rideva con gli occhi sopraffatto dalla gioia di quell’intrattenersi infantile, solo un poco oltre la soglia del lecito. Solo un poco in più, che fosse eccitante.
Sentiva la voce che lo chiamava: - Alessio, Alessio dai, vieni fuori -. I piedi fremevano. C’era la voglia di correre, di farsi vedere ma si costringeva a rimanere fermo. Nella testa l’immagine di ciò che sarebbe venuto. Di tutto quello che sarebbe stato. Il futuro.
Un futuro molto prossimo di lui che balzava felino proprio davanti a Sara, prima che voltasse l’angolo. Lo spavento e subito le risa. La gioia. Piccola ma dura. Inattaccabile.
Invece: - Ehi, sei qui! -. Carlo gli era quasi caduto addosso mentre correva chissà dove e il futuro di Alessio era esploso come una bolla di sapone. Plop.
- Sì -, rispose.
- Vieni con noi? Stiamo andando al fiume.
- Ma la maestra?
Sara aveva smesso di chiamarlo. Doveva aver sentito le voci ed ora il gioco aveva perso di senso, per via dell’intrusione.
- La maestra è con Enrico e Valeria, devono girare la scena del tesoro, non se ne accorge, dai.
La classe era uscita per le riprese del film. Anche per quell’anno la passione della giovane maestra li aveva coinvolti in quella pazza idea. Avevano scritto il soggetto, preparato la sceneggiatura, distribuito le parti e fatto le prove. Ora si girava in esterno.
Era maggio. Il sole pallido scaldava la terra quel tanto che bastava a far spuntare i primi fiori colorati. Più sotto c’era ancora l’umidità dell’inverno, rintanata in basso nel sottosuolo.
I due bambini presero la strada verso sud, riparati dai cespugli. Si erano chinati un poco per non farsi scorgere e già correvano a perdifiato. Due puntolini a valle si allargarono sempre più fino a mostrare le sagome di Giulio e Riccardo. Giulio era obeso per i suoi dieci anni ma nessuno lo prendeva mai in giro apertamente. Quando Alessio gli si avvicinava sentiva un odore dolciastro che gli ricordava il prosciutto.
Gli stava simpatico anche se spesso faceva il gradasso. Era l’unico bambino con cui avesse mai fatto a botte.
- Ciao Alessio, ci sei anche tu. Dai corriamo alla diga!
- Che diga?
- L’ho fatta io -, esclamò Riccardo gonfiando il petto. - Ieri -.
- E dove?
- Qui vicino, dove ci sono quegli alberi, vedi? Io abito là sopra -, fece indicando oltre un boschetto di pini. Si scorgeva il tetto rosso di una casa.
La diga era stata edificata ai margini del fiume. C’era un punto nel quale il terreno era franato ed aveva creato un piccolo anfratto naturale nel quale l’acqua entrava liberamente, ristagnava per un po’ e poi usciva, schiumando nel ricongiungersi alla corrente. Riccardo aveva riempito di sassi l’uscita cosicché il livello dell’acqua era salito. Ora stava spiegando a tutti gli altri come da principio l’acqua continuasse a salire fino a scavalcare il suo muro ma poi aveva creato un canale in ingresso, sempre con i sassi. Ora l’anfratto era più riparato e l’acqua che vi entrava era molto più calma, come in un laghetto. Ne fuoriusciva solo quel tanto che bastava a tenere il livello costante.
La superficie era liscia e si scorgeva il fondo sabbioso. Giulio voleva spostare dei sassi ma Riccardo lo fermò urlandogli contro. Ci sarebbero volute ore poi affinché l’acqua tornasse limpida.
- Che siamo venuti a fare allora? - Chiese Carlo.
- A vederla. L’ho fatta io, non è bella?
- Ma non vuoi che ci giochiamo.
- Ma è finita.
- E allora?
Alessio rimaneva in disparte. Guardava il pelo dell’acqua così immobile. Solo un metro più in là c’era il tumulto della corrente.
Quando si voltò vide Carlo e Giulio che risalivano per la stessa strada da cui erano arrivati. Riccardo era per terra. I pantaloni tutti sporchi. Giulio lo aveva spinto ma Alessio non aveva registrato nulla di quanto successo. Gli veniva da ridere perché sembrava impossibile che non avesse sentito il bisticcio. Sapeva che c’era stato ma non se ne ricordava.
- Che ti ridi! Aiutami. – disse Riccardo ferito nell’orgoglio.
- Sì, scusami.
Alessio gli diede la mano e lo aiutò a rialzarsi guardando l’amico mentre si puliva i pantaloni come meglio poteva. - Chi lo dice alla maestra adesso - mugugnava.
- Beh, la diga è salva almeno -, fece Alessio sorridendo.
L’ombra di un Vaffanculo passò sul viso di Riccardo per qualche istante, poi, dopo aver deciso che la frase dell’altro era sincera, sorrise anche lui.
Si misero a ridere e ripresero la strada verso la casa dove stavano tutti.
- Avranno finito le riprese ormai. Dobbiamo sbrigarci.
Mentre risalivano il pendio Alessio vide un’ombra dietro un albero. Era lei, era Sara. Lo aveva seguito allora.
Non disse nulla, però. Sara guardava Riccardo.


Zani Ettore - Dicembre 2008

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Carina la foto! Anche il racconto, ma di quello già ti avevo detto :)

EttoreBilbo ha detto...

la foto non è mia però... si sa mai che qualcuno se la prenda che ho il brutto vizio di non scrivere mai da dove arrivano le foto che posto assieme ai testi :-D

Unknown ha detto...

Desidero inviare a tutti il mio messaggio natalizio.
La ricorrenza del Santo Natale è per me la "Speranza" che si manifesta con la nascita del bambino Gesù.
Ti auguro che la "Speranza" alberghi nel tuo cuore e che possa donarti momenti sempre più felici e di amore.

Anna
Noi Disabili