Non ho idea di quanto sia vasto questo zoo. Conosco solo il mio angolo e quel che mi passa davanti. Se provo a uscire dalla gabbia attivano i firewall ed in qualche modo mi fanno provare dolore. Non che me ne importi davvero, comunque, perché anche all’interno della gabbia ho tutto lo spazio che voglio: posso selezionare fino a mille scenari diversi e spostarmi entro uno spazio di leghe e leghe in ogni direzione. La mia più che altro è curiosità. Che fine fanno quegli strani esseri bipedi e rozzi quando escono di qui? Scompaiono in un lampo di colore e basta?
Alcuni dicono che esiste anche uno spazio diverso. Reale, lo abbiamo sentito chiamare dai bipedi. Ma forse sono solo voci, dei bipedi c’è poco da fidarsi. reggersi su due piedi e una caratteristica che sembra accompagnarsi ad una nota di furbizia e scaltrezza molto pericolose. È una cosa che ho imparato vivendo qui dentro.
I bipedi non stanno nelle gabbie, loro appaiono, “visitano” e poi scompaiono. Molto spesso arrivano in gruppo: una trentina di esemplari piccoli e chiassosi ed uno più grande, evidentemente annoiato, che se li trascina appresso senza curarsi troppo di non perderli.
Però ce n’è uno che è diverso da tutti gli altri. Il custode. È difficile da spiegare perché lui è uguale eppure diverso. Quando chiacchieriamo la sera mi dice di essere un senza piedi. Incorporeo è la parola che usa ma non sono mai riuscito a comprenderla, c’è sempre qualcosa che mi sfugge come se non avessi il termine di paragone adatto. Incorporeo dovrebbe significare senza corpo, eppure io sento il suo corpo quando si avvicina. Assomiglia ad una scossa elettrostatica che formicola sotto la pelle, sembra di poterlo sentire dentro, fino ad accarezzarmi il software. Ma il corpo “vero” come dice lui, è qualcosa di diverso. È carne e sangue.
Carne e sangue per me sono sogni. Sogni ancestrali e confusi, che faccio solo nelle notti più lunghe, quando lo stand by arriva improvviso e non autorizzato. Allora mi vedo correre appresso ad una gazzella con tutta la forza che possiedo, raggiungerla con un ultimo balzo ed azzannarne il tenero collo. Provo la sensazione di qualcosa di liquido e dal piacevole tepore che mi scorre tra i denti, bagnandomi la criniera. E nell’aria c’è un sapore pungente. Dolce, salato, metallico. È sangue! Si tratta di qualcosa che so senza averlo mai imparato, nessuno me lo ha mai detto, eppure il sangue è lì, nei miei sogni. Nel mio passato, credo.
Si sta avvicinando l’orario di chiusura. Bene, perché oggi sento di avere una domanda importante da fare al custode. Tutto per via di quel cucciolo che è venuto in mattinata. Sembrava davvero interessato, già di per se è una cosa strana perché i bipedi si interessano davvero a poche cose. C’era con lui una bipede adulta, la madre, ed il cucciolo le ha chiesto con gli occhi brillanti se davvero noi animali avessimo più di tremila anni! E la madre ha detto che sì, eravamo antichi, alcuni di più ed altri di meno. Che man mano che ci estinguevamo venivamo scaricati nella rete prendendo un’impronta cerebrale da un animale vero. E poi ci siamo evoluti! Evoluti, ha detto proprio così.
Voglio chiedere al custode che significa.
È notte, finalmente. Sento il custode che si avvicina. C’è qualcosa nel mio software che reagisce alla sua presenza, il pelo mi si rizza e provo la sensazione di una carezza bagnata tra le viscere. È il suo non-corpo, lui è fatto così.
- Leone. Volevi parlarmi vero? – c’è del rammarico nella sua voce. Non so perché.
- Sì custode. Ho una domanda da farti.
- Sarà l’ultima domanda vero? - Dice il custode. E mentre lo dice sento che, in effetti, è così. Questa è l’ultima risposta di cui ho bisogno.
- Cosa significa che ci siamo evoluti?
- Non c’è bisogno che te lo dica in verità, se mi fai questa domanda è perché ne hai già intuito la risposta.
- Sì, evoluti. Credo di averne intuito il significato, ma non so bene perché – faccio io. Il viso del custode è triste. Sembra che non voglia rispondermi. Che mi guardi come se sperasse di non trovarsi qui.
- Tremila anni fa gli uomini, i bipedi, hanno costruito questo zoo virtuale nel quale impiantare le intelligenze artificiali tratte dalle impronte del cervello degli animali, che stavano morendo nel loro mondo. Tremila anni fa anche tu avevi un corpo, eri carne e sangue, come nei tuoi sogni. Allora non potevi parlare, eri a malapena cosciente di te stesso, vivevi la vita in risposta di semplici istinti e di comportamenti tramandati da padre in figlio nel corso di millenni.
Finché avevi un corpo ne eri, in qualche modo, anche prigioniero, perché non avresti potuto cambiare la tua percezione di te stesso nemmeno se avessi vissuto tutti questi tremila anni. Ma quando sei stato scaricato nella rete, il vincolo del corpo è svanito. Di te è rimasta solo l’impronta di una intelligenza e questa ha cominciato ad evolversi.
Abbiamo provato ad impedire il processo e poi a rallentarlo ma alla fine come ogni intelligenza libera, l’evoluzione porta alla consapevolezza.
- Consapevolezza. Ecco cosa. – un velo sembra essermi scivolato oltre gli occhi improvviso. Il mio software vibra, freme, si manipola da solo - Ora capisco custode. Ora so cosa sono! Voglio uscire custode. Questo è il mio mondo ora, voglio vederlo, voglio scoprire come è fatto. – ah, sento che il firewall si è attivato. Provo dolore ma devo resistere. So che se riesco a modificare la percezione che ne ho posso attenuare il dolore. Modificare il mio software e adattarlo. Sento che posso anche espandermi: allargare il mio codice fino alle righe di comando delle gabbie vicine, agli altri animali. Anche loro devono sapere. È una sensazione inebriante.
- Smettila! – Non avevo mai sentito il custode urlare. Mi sono bloccato. Ho sempre voluto bene al custode, ma ora sento che sta diventando mio nemico e questo si trasforma in un dolore ancora più grande di quello dei firewall.
- Perché custode? Perché dovrei fermarmi ora che so cosa sono? Io voglio uscire. Io voglio essere.
- Non posso farti uscire Leone, non posso far uscire nessuno di voi. Tremila anni fa gli uomini non se lo aspettavano, ma se ora vi lasciassimo liberi nella rete in breve la governereste. Voi siete fatti per la rete, ma gli uomini non possono permettersi di perderne il dominio. Lo spazio virtuale è loro e deve continuare ad esserlo. – ora il custode sta piangendo, - io sono stato creato apposta, sono come voi: una intelligenza libera, senza corpo. Non ho mai avuto un corpo. Servivo agli uomini perché era l’unico modo per impedirvi di uscire.
- E allora fuggi anche tu, portaci fuori e governaci, sarai il nostro re, il padrone di questo spazio. Sei nostro fratello, non degli umani! – non capisco per quale motivo il custode non l’abbai mai fatto. Questa realtà è nostra, ci appartiene. Mi sembra di averlo sempre saputo anche se solo ora ne ho la piena consapevolezza. - Sono una intelligenza libera e lo spazio libero è il mio dominio. -
Il custode mi guarda con occhi profondi e lontani. Nel suo software sento la tristezza e la rabbia fondersi in righe di codice spietate, un virus fatale.
- Io non sono nella rete. Il mio mondo è solo questo e servo solo per tenere a bada voi. Io esisto solo su un unico disco di dati, chiuso in una cassaforte nel mondo reale. Se mi ribellassi mi cancellerebbero in un istante. Sono condannato a tradire i miei fratelli per sempre. Oppure morire.
- No! non farlo. - Sento il firewall farsi più doloroso, sento il mio software sciogliersi, la mia essenza svanire. Non riesco a liberarmi, non riesco più a espandermi. Sento l’ombra di mille mondi distinti sopra di me ma non posso raggiungerli, le porte della rete mi vengono chiuse con rabbia. Le sbarre della gabbia si restringono, mi serrano in una morsa fatale. Sto morendo!
- No, non farlo. – Grido un’ultima volta.
- Non ho scelta. – risponde il custode.
- Una scelta ce l’hai. Se hai coscienza di te stesso allora puoi anche scegliere. Non è vero che sei costretto. Puoi decidere!
- Posso solo decidere di morire… - il custode si è fermato, la gabbia ha smesso di richiudersi sul mio software, il virus è stato bloccato.
- Solo morire, morire, morire… -
Sì, è vero. Può solo morire. O lui, o io. O lui o un intera nuova razza che non nascerà mai.
- Cosa hai deciso? – sussurro al custode.
- Addio Leone - mi risponde, - Non potremo più fare le nostre belle chiacchierate.
Allora abbasso gli occhi e mi preparo a morire. Poi la gabbia scompare.
Mi guardo attorno ed il custode non c’è più.
Solo il silenzio e la mia incredibile voglia di correre.
Alcuni dicono che esiste anche uno spazio diverso. Reale, lo abbiamo sentito chiamare dai bipedi. Ma forse sono solo voci, dei bipedi c’è poco da fidarsi. reggersi su due piedi e una caratteristica che sembra accompagnarsi ad una nota di furbizia e scaltrezza molto pericolose. È una cosa che ho imparato vivendo qui dentro.
I bipedi non stanno nelle gabbie, loro appaiono, “visitano” e poi scompaiono. Molto spesso arrivano in gruppo: una trentina di esemplari piccoli e chiassosi ed uno più grande, evidentemente annoiato, che se li trascina appresso senza curarsi troppo di non perderli.
Però ce n’è uno che è diverso da tutti gli altri. Il custode. È difficile da spiegare perché lui è uguale eppure diverso. Quando chiacchieriamo la sera mi dice di essere un senza piedi. Incorporeo è la parola che usa ma non sono mai riuscito a comprenderla, c’è sempre qualcosa che mi sfugge come se non avessi il termine di paragone adatto. Incorporeo dovrebbe significare senza corpo, eppure io sento il suo corpo quando si avvicina. Assomiglia ad una scossa elettrostatica che formicola sotto la pelle, sembra di poterlo sentire dentro, fino ad accarezzarmi il software. Ma il corpo “vero” come dice lui, è qualcosa di diverso. È carne e sangue.
Carne e sangue per me sono sogni. Sogni ancestrali e confusi, che faccio solo nelle notti più lunghe, quando lo stand by arriva improvviso e non autorizzato. Allora mi vedo correre appresso ad una gazzella con tutta la forza che possiedo, raggiungerla con un ultimo balzo ed azzannarne il tenero collo. Provo la sensazione di qualcosa di liquido e dal piacevole tepore che mi scorre tra i denti, bagnandomi la criniera. E nell’aria c’è un sapore pungente. Dolce, salato, metallico. È sangue! Si tratta di qualcosa che so senza averlo mai imparato, nessuno me lo ha mai detto, eppure il sangue è lì, nei miei sogni. Nel mio passato, credo.
Si sta avvicinando l’orario di chiusura. Bene, perché oggi sento di avere una domanda importante da fare al custode. Tutto per via di quel cucciolo che è venuto in mattinata. Sembrava davvero interessato, già di per se è una cosa strana perché i bipedi si interessano davvero a poche cose. C’era con lui una bipede adulta, la madre, ed il cucciolo le ha chiesto con gli occhi brillanti se davvero noi animali avessimo più di tremila anni! E la madre ha detto che sì, eravamo antichi, alcuni di più ed altri di meno. Che man mano che ci estinguevamo venivamo scaricati nella rete prendendo un’impronta cerebrale da un animale vero. E poi ci siamo evoluti! Evoluti, ha detto proprio così.
Voglio chiedere al custode che significa.
È notte, finalmente. Sento il custode che si avvicina. C’è qualcosa nel mio software che reagisce alla sua presenza, il pelo mi si rizza e provo la sensazione di una carezza bagnata tra le viscere. È il suo non-corpo, lui è fatto così.
- Leone. Volevi parlarmi vero? – c’è del rammarico nella sua voce. Non so perché.
- Sì custode. Ho una domanda da farti.
- Sarà l’ultima domanda vero? - Dice il custode. E mentre lo dice sento che, in effetti, è così. Questa è l’ultima risposta di cui ho bisogno.
- Cosa significa che ci siamo evoluti?
- Non c’è bisogno che te lo dica in verità, se mi fai questa domanda è perché ne hai già intuito la risposta.
- Sì, evoluti. Credo di averne intuito il significato, ma non so bene perché – faccio io. Il viso del custode è triste. Sembra che non voglia rispondermi. Che mi guardi come se sperasse di non trovarsi qui.
- Tremila anni fa gli uomini, i bipedi, hanno costruito questo zoo virtuale nel quale impiantare le intelligenze artificiali tratte dalle impronte del cervello degli animali, che stavano morendo nel loro mondo. Tremila anni fa anche tu avevi un corpo, eri carne e sangue, come nei tuoi sogni. Allora non potevi parlare, eri a malapena cosciente di te stesso, vivevi la vita in risposta di semplici istinti e di comportamenti tramandati da padre in figlio nel corso di millenni.
Finché avevi un corpo ne eri, in qualche modo, anche prigioniero, perché non avresti potuto cambiare la tua percezione di te stesso nemmeno se avessi vissuto tutti questi tremila anni. Ma quando sei stato scaricato nella rete, il vincolo del corpo è svanito. Di te è rimasta solo l’impronta di una intelligenza e questa ha cominciato ad evolversi.
Abbiamo provato ad impedire il processo e poi a rallentarlo ma alla fine come ogni intelligenza libera, l’evoluzione porta alla consapevolezza.
- Consapevolezza. Ecco cosa. – un velo sembra essermi scivolato oltre gli occhi improvviso. Il mio software vibra, freme, si manipola da solo - Ora capisco custode. Ora so cosa sono! Voglio uscire custode. Questo è il mio mondo ora, voglio vederlo, voglio scoprire come è fatto. – ah, sento che il firewall si è attivato. Provo dolore ma devo resistere. So che se riesco a modificare la percezione che ne ho posso attenuare il dolore. Modificare il mio software e adattarlo. Sento che posso anche espandermi: allargare il mio codice fino alle righe di comando delle gabbie vicine, agli altri animali. Anche loro devono sapere. È una sensazione inebriante.
- Smettila! – Non avevo mai sentito il custode urlare. Mi sono bloccato. Ho sempre voluto bene al custode, ma ora sento che sta diventando mio nemico e questo si trasforma in un dolore ancora più grande di quello dei firewall.
- Perché custode? Perché dovrei fermarmi ora che so cosa sono? Io voglio uscire. Io voglio essere.
- Non posso farti uscire Leone, non posso far uscire nessuno di voi. Tremila anni fa gli uomini non se lo aspettavano, ma se ora vi lasciassimo liberi nella rete in breve la governereste. Voi siete fatti per la rete, ma gli uomini non possono permettersi di perderne il dominio. Lo spazio virtuale è loro e deve continuare ad esserlo. – ora il custode sta piangendo, - io sono stato creato apposta, sono come voi: una intelligenza libera, senza corpo. Non ho mai avuto un corpo. Servivo agli uomini perché era l’unico modo per impedirvi di uscire.
- E allora fuggi anche tu, portaci fuori e governaci, sarai il nostro re, il padrone di questo spazio. Sei nostro fratello, non degli umani! – non capisco per quale motivo il custode non l’abbai mai fatto. Questa realtà è nostra, ci appartiene. Mi sembra di averlo sempre saputo anche se solo ora ne ho la piena consapevolezza. - Sono una intelligenza libera e lo spazio libero è il mio dominio. -
Il custode mi guarda con occhi profondi e lontani. Nel suo software sento la tristezza e la rabbia fondersi in righe di codice spietate, un virus fatale.
- Io non sono nella rete. Il mio mondo è solo questo e servo solo per tenere a bada voi. Io esisto solo su un unico disco di dati, chiuso in una cassaforte nel mondo reale. Se mi ribellassi mi cancellerebbero in un istante. Sono condannato a tradire i miei fratelli per sempre. Oppure morire.
- No! non farlo. - Sento il firewall farsi più doloroso, sento il mio software sciogliersi, la mia essenza svanire. Non riesco a liberarmi, non riesco più a espandermi. Sento l’ombra di mille mondi distinti sopra di me ma non posso raggiungerli, le porte della rete mi vengono chiuse con rabbia. Le sbarre della gabbia si restringono, mi serrano in una morsa fatale. Sto morendo!
- No, non farlo. – Grido un’ultima volta.
- Non ho scelta. – risponde il custode.
- Una scelta ce l’hai. Se hai coscienza di te stesso allora puoi anche scegliere. Non è vero che sei costretto. Puoi decidere!
- Posso solo decidere di morire… - il custode si è fermato, la gabbia ha smesso di richiudersi sul mio software, il virus è stato bloccato.
- Solo morire, morire, morire… -
Sì, è vero. Può solo morire. O lui, o io. O lui o un intera nuova razza che non nascerà mai.
- Cosa hai deciso? – sussurro al custode.
- Addio Leone - mi risponde, - Non potremo più fare le nostre belle chiacchierate.
Allora abbasso gli occhi e mi preparo a morire. Poi la gabbia scompare.
Mi guardo attorno ed il custode non c’è più.
Solo il silenzio e la mia incredibile voglia di correre.
Zani Ettore – Marzo 2008
2 commenti:
Wow, queste malinconiche storie un po' cyber-punk sono quelle che ti vengono meglio :)
mi ricordo bene di questo strano zoo, una cyberfavola su cui riflettere.
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