Tutti nascono con qualche talento speciale e Valentina scoprì presto di possederne due. Per prima cosa era bravissima nel perdersi, nemmeno doveva sforzarsi per dimenticare da quale parte era arrivata o la direzione in cui doveva andare, le bastava serrare un momento gli occhi e, opplà, non sapeva più dove si trovava.
Il primo giorno di scuola della seconda elementare, per esempio, Valentina camminava lungo la via dell’istituto a meno di cinquecento metri dall’ingresso principale quando si domandò quanto grande fosse il suo talento. Detto fatto chiuse gli occhi e, considerando la missione davvero impossibile, un pochetto ci si impegno pure nell’intento: fece un giro su se stessa e convinta di essere tornata al punto di partenza riaprì gli occhi.
Che stupore nel vedere la città così cambiata. Non c’era forse il panettiere dall’altro lato della strada? No, ora c’era una stupenda vetrina piena di torte, e il giornalaio che fina aveva fatto? Al suo posto vedeva solo un carretto dei gelati.
E la scuola, ci sarà ancora? Si chiese Valentina. Corse allora a perdifiato dritto di fronte a sé girando la testa a destra e sinistra cercando disperatamente il portone che aveva imparato a riconoscere ma nulla di quanto vedeva le era familiare. Anzi, tutto sembrava decisamente strano.
Il vecchietto al semaforo per dirne una.
Valentina nel vederne i capelli bianchi da lontano s’era sentita già al sicuro, le sarebbe bastato chiedere e tutto sarebbe tornato normale ma una volta giunta alle sue spalle, fece per tirargli i pantaloni pronta già sfoggiare la sua migliore occhiata da brava bambina e quello nel voltarsi quasi la buttò a terra col lungo becco che spuntava al posto del naso. Valentina guardò il vecchietto, o quello che almeno fino a poco prima le era sembrato tale, con tanto d’occhi. I capelli erano rade piume bianche che ricadevano disordinate ai lati del viso e sugli occhi portava un paio d’occhiali nodosi e bozzolosi che sembravano fatti di rami secchi. E poi il becco, un lungo becco giallo che le ricordava quello di un tucano, cosi come lo aveva visto disegnato sul suo libro.
Valentina non sapeva se scappare o rimanere impietrita sul posto ma poi si disse che se era arrivata fin lì tanto valeva provare a chiedere lo stesso.
“scusi”, cominciò “mimi saprebbe di i ire dodove si trova la a scucuola?” chiese, incespicando sulle parole come fossero gradini sconnessi.
Il vecchio Tucano la sbirciò da sotto gli occhiali abbozzando un sorriso improbabile con l’enorme protuberanza che si ritrovava al posto di bocca e di naso.
“Per quanto ne so io piccola”, cominciò a dire dimenando il becco tanto che Valentina doveva stare attenta a scansarlo di quando in quando “in questa città non esiste nessuna scuola”.
“E allora io, dove stavo andando fino a cinque minuti fa?” lo rimbeccò Valentina, domandandosi se fosse possibile rimbeccare chi un becco già l’aveva.
“Dove stavi andando tu di certo non lo so, quel che so è dove sto andando io, se vuoi ti spiego la strada ma sarebbe più facile se mi seguissi” rispose imperturbabile il tucano.
E sia, pensò valentina, più persa di cosi non è davvero possibile, seguire questo vecchio male non farà. Certo che son davvero brava a perdermi, quando lo racconterò nessuno vorrà credermi.
I due presero a camminare lungo un marciapiede che a Valentina sembrava fatto di torrone: “scusi ancora signor Tucano, ma questo marciapiede è di torrone?”
“E di cosa sennò, piccola mia, il marzapane sarebbe troppo morbido e la cioccolata si squaglierebbe al primo sole. Devi convenirne, torrone, torrone per forza.”
Valentina si fermò di botto. Si mise ginocchioni e portando la lingua per terra diede una gran leccata al marciapiede.
“É già”, disse ad occhi chiusi, intenta ad assaporare, “proprio torrone”.
Dopo qualche tempo che i due camminavano in silenzio giunsero ad una casupola sghemba e sbilenca.
“Non c’è una sola linea dritta” si stupì Valentina. In effetti, era difficile persino dire dove finissero le pareti ed iniziasse il tetto, o se le finestre fossero tonde o rettangolari, la porta poi, beh Valentina non era del tutto sicura di poter chiamare porta quella cosa. Assomigliava più ad una bocca sdentata. Valentina si passò la lingua sull’apparecchio per i denti sperando che la sua bocca non diventasse mai così.
“Signor Tucano, dove stiamo andando?” provò a chiedere.
Il vecchio la squadrò da dietro gli occhiali; teneva la testa un poco inclinata così che le piume pendessero di un quarto nel vuoto, a vederlo non sembrava messo poi tanto meglio della casa e Valentina capì dove erano giunti, si trattava sicuramente della dimora di quel vecchio uccellaccio.
“È casa sua vero?”, s’affrettò a dire Valentina felice dell’intuizione.
“Esattamente” rispose il tucano, “mia e di mia moglie, la Tucanessa!”
La Tucanessa era ancora più incredibile del marito, o del marciapiede di torrone o della casa, Valentina pensò che non aveva mai visto qualcosa di tanto incredibile in vita sua. Era grassa, grossa, enorme e mastodontica tutto assieme. In effetti, c’era da chiedersi come fosse possibile per lei entrare e uscire di casa. Valentina aveva una voglia matta di chiederlo, ma pensò che non sarebbe stato educato. E se la Tucanessa si fosse arrabbiata? No, decisamente non voleva trovarsi di fronte una montagna arrabbiata.
Se il corpo della Tucanessa era eccezionale non di meno era il suo becco, piccolo, davvero piccolo in confronto a quello del marito.
“Sembra un pinguino” si lasciò scappare Valentina, troppo sorpresa per ricordarsi ancora di essere educata. Subitò si zittì e portando gli occhi a terra si scusò con un inchino: “Scusi madame” disse, e poi: “se volesse arrostirmi e mangiarmi qui sul posto lo potrebbe fare ed io non direi un ah. Sono stata davvero impertinente”.
La tucanessa Rise, rise di gusto e tanto forte che ne vibrarono le fondamenta della casa.
“Ti prego cara, basta ridere” imploro il vecchio Tucano, “oddio cosa hai fatto” disse poi rivolto a Valentina. La Tucanessa non smetteva di ridere ed il marito dopo poco corse fuori urlando a squarciagola: “attacco di risate, attenzione: attacco di risate, ognuno ai posti di combattimento.
Valentina sbirciò da una finestra e vide un gran trambusto, gente strana che correva da tutte le parti mentre nella casa i soprammobili iniziavano a cadere. La Tucanessa era un tornado inarrestabile, rideva a crepapelle. Le mura avrebbero ceduto di lì a poco.
Valentina capì che doveva andarsene. Ma in tutto quel trambusto non trovava più la porta, la stanza s’era riempita di polvere e non si vedeva ad un palmo di naso, se solo avesse avuto un becco come quello del tucano. poi d’un tratto vide qualcosa luccicare sotto la Tucanessa. Si mise carponi e lo raccolse, non sapeva perché ma doveva essere importante. Finalmente trovò una porta e uscì. Si ritrovò su un’altra via, probabilmente sul retro della casa, ma non riconosceva nulla e non sapeva dove fosse ne dove andare. Mi son persa di nuovo! Si rese conto valentina e provò a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì un volto enorme la stava osservando da vicino, era la maestra.
“Bentornata tra noi Valentina” disse sarcastica.
“Grazie signora maestra, sono proprio appena tornata, in effetti, ero a casa della tucanessa, sa che le assomiglia, e poi, e poi c’era il tucano suo marito, e tanta gente che correva ai posti di combattimento perché erano sotto attacco di risate, e i marciapiede erano di torrone e le case tutte storte che non capivi dove fosse il sopra e dove il sotto, e tutto questo per via del fatto che sono brava a perdermi, che sa è uno dei miei due talenti...
“Valentina!!!” urlò la maestra, “ora basta, segui la lezione!” ma dal banco dietro la vocina di un compagno le chiese “valentina, pst valentina, qual’è il tuo secondo talento?”
“beh non è un vero e proprio talento, però se ti perdi vai nel posto delle cose perdute e se stai li è facile ritrovare quel che avevi perso, sai, cose come una pallina, o dello spago, o un bottone...”
“Anche la mia spilla Valentina?” chiese un’altra vocina, “Ci tenevo tanto era un regalo della mia mamma”.
Valentina si ricordò d’aver raccolto qualcosa a casa della Tucanessa, aprì il palmo della mano e vide una spilla d’argento, “è questa?” chiese alla bambina.
“come hai fatto??? Le chiesero in coro.
“ve l’ho detto che ho del talento” rispose Valentina.
Zani Ettore – Luglio 2007
Il primo giorno di scuola della seconda elementare, per esempio, Valentina camminava lungo la via dell’istituto a meno di cinquecento metri dall’ingresso principale quando si domandò quanto grande fosse il suo talento. Detto fatto chiuse gli occhi e, considerando la missione davvero impossibile, un pochetto ci si impegno pure nell’intento: fece un giro su se stessa e convinta di essere tornata al punto di partenza riaprì gli occhi.
Che stupore nel vedere la città così cambiata. Non c’era forse il panettiere dall’altro lato della strada? No, ora c’era una stupenda vetrina piena di torte, e il giornalaio che fina aveva fatto? Al suo posto vedeva solo un carretto dei gelati.
E la scuola, ci sarà ancora? Si chiese Valentina. Corse allora a perdifiato dritto di fronte a sé girando la testa a destra e sinistra cercando disperatamente il portone che aveva imparato a riconoscere ma nulla di quanto vedeva le era familiare. Anzi, tutto sembrava decisamente strano.
Il vecchietto al semaforo per dirne una.
Valentina nel vederne i capelli bianchi da lontano s’era sentita già al sicuro, le sarebbe bastato chiedere e tutto sarebbe tornato normale ma una volta giunta alle sue spalle, fece per tirargli i pantaloni pronta già sfoggiare la sua migliore occhiata da brava bambina e quello nel voltarsi quasi la buttò a terra col lungo becco che spuntava al posto del naso. Valentina guardò il vecchietto, o quello che almeno fino a poco prima le era sembrato tale, con tanto d’occhi. I capelli erano rade piume bianche che ricadevano disordinate ai lati del viso e sugli occhi portava un paio d’occhiali nodosi e bozzolosi che sembravano fatti di rami secchi. E poi il becco, un lungo becco giallo che le ricordava quello di un tucano, cosi come lo aveva visto disegnato sul suo libro.
Valentina non sapeva se scappare o rimanere impietrita sul posto ma poi si disse che se era arrivata fin lì tanto valeva provare a chiedere lo stesso.
“scusi”, cominciò “mimi saprebbe di i ire dodove si trova la a scucuola?” chiese, incespicando sulle parole come fossero gradini sconnessi.
Il vecchio Tucano la sbirciò da sotto gli occhiali abbozzando un sorriso improbabile con l’enorme protuberanza che si ritrovava al posto di bocca e di naso.
“Per quanto ne so io piccola”, cominciò a dire dimenando il becco tanto che Valentina doveva stare attenta a scansarlo di quando in quando “in questa città non esiste nessuna scuola”.
“E allora io, dove stavo andando fino a cinque minuti fa?” lo rimbeccò Valentina, domandandosi se fosse possibile rimbeccare chi un becco già l’aveva.
“Dove stavi andando tu di certo non lo so, quel che so è dove sto andando io, se vuoi ti spiego la strada ma sarebbe più facile se mi seguissi” rispose imperturbabile il tucano.
E sia, pensò valentina, più persa di cosi non è davvero possibile, seguire questo vecchio male non farà. Certo che son davvero brava a perdermi, quando lo racconterò nessuno vorrà credermi.
I due presero a camminare lungo un marciapiede che a Valentina sembrava fatto di torrone: “scusi ancora signor Tucano, ma questo marciapiede è di torrone?”
“E di cosa sennò, piccola mia, il marzapane sarebbe troppo morbido e la cioccolata si squaglierebbe al primo sole. Devi convenirne, torrone, torrone per forza.”
Valentina si fermò di botto. Si mise ginocchioni e portando la lingua per terra diede una gran leccata al marciapiede.
“É già”, disse ad occhi chiusi, intenta ad assaporare, “proprio torrone”.
Dopo qualche tempo che i due camminavano in silenzio giunsero ad una casupola sghemba e sbilenca.
“Non c’è una sola linea dritta” si stupì Valentina. In effetti, era difficile persino dire dove finissero le pareti ed iniziasse il tetto, o se le finestre fossero tonde o rettangolari, la porta poi, beh Valentina non era del tutto sicura di poter chiamare porta quella cosa. Assomigliava più ad una bocca sdentata. Valentina si passò la lingua sull’apparecchio per i denti sperando che la sua bocca non diventasse mai così.
“Signor Tucano, dove stiamo andando?” provò a chiedere.
Il vecchio la squadrò da dietro gli occhiali; teneva la testa un poco inclinata così che le piume pendessero di un quarto nel vuoto, a vederlo non sembrava messo poi tanto meglio della casa e Valentina capì dove erano giunti, si trattava sicuramente della dimora di quel vecchio uccellaccio.
“È casa sua vero?”, s’affrettò a dire Valentina felice dell’intuizione.
“Esattamente” rispose il tucano, “mia e di mia moglie, la Tucanessa!”
La Tucanessa era ancora più incredibile del marito, o del marciapiede di torrone o della casa, Valentina pensò che non aveva mai visto qualcosa di tanto incredibile in vita sua. Era grassa, grossa, enorme e mastodontica tutto assieme. In effetti, c’era da chiedersi come fosse possibile per lei entrare e uscire di casa. Valentina aveva una voglia matta di chiederlo, ma pensò che non sarebbe stato educato. E se la Tucanessa si fosse arrabbiata? No, decisamente non voleva trovarsi di fronte una montagna arrabbiata.
Se il corpo della Tucanessa era eccezionale non di meno era il suo becco, piccolo, davvero piccolo in confronto a quello del marito.
“Sembra un pinguino” si lasciò scappare Valentina, troppo sorpresa per ricordarsi ancora di essere educata. Subitò si zittì e portando gli occhi a terra si scusò con un inchino: “Scusi madame” disse, e poi: “se volesse arrostirmi e mangiarmi qui sul posto lo potrebbe fare ed io non direi un ah. Sono stata davvero impertinente”.
La tucanessa Rise, rise di gusto e tanto forte che ne vibrarono le fondamenta della casa.
“Ti prego cara, basta ridere” imploro il vecchio Tucano, “oddio cosa hai fatto” disse poi rivolto a Valentina. La Tucanessa non smetteva di ridere ed il marito dopo poco corse fuori urlando a squarciagola: “attacco di risate, attenzione: attacco di risate, ognuno ai posti di combattimento.
Valentina sbirciò da una finestra e vide un gran trambusto, gente strana che correva da tutte le parti mentre nella casa i soprammobili iniziavano a cadere. La Tucanessa era un tornado inarrestabile, rideva a crepapelle. Le mura avrebbero ceduto di lì a poco.
Valentina capì che doveva andarsene. Ma in tutto quel trambusto non trovava più la porta, la stanza s’era riempita di polvere e non si vedeva ad un palmo di naso, se solo avesse avuto un becco come quello del tucano. poi d’un tratto vide qualcosa luccicare sotto la Tucanessa. Si mise carponi e lo raccolse, non sapeva perché ma doveva essere importante. Finalmente trovò una porta e uscì. Si ritrovò su un’altra via, probabilmente sul retro della casa, ma non riconosceva nulla e non sapeva dove fosse ne dove andare. Mi son persa di nuovo! Si rese conto valentina e provò a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì un volto enorme la stava osservando da vicino, era la maestra.
“Bentornata tra noi Valentina” disse sarcastica.
“Grazie signora maestra, sono proprio appena tornata, in effetti, ero a casa della tucanessa, sa che le assomiglia, e poi, e poi c’era il tucano suo marito, e tanta gente che correva ai posti di combattimento perché erano sotto attacco di risate, e i marciapiede erano di torrone e le case tutte storte che non capivi dove fosse il sopra e dove il sotto, e tutto questo per via del fatto che sono brava a perdermi, che sa è uno dei miei due talenti...
“Valentina!!!” urlò la maestra, “ora basta, segui la lezione!” ma dal banco dietro la vocina di un compagno le chiese “valentina, pst valentina, qual’è il tuo secondo talento?”
“beh non è un vero e proprio talento, però se ti perdi vai nel posto delle cose perdute e se stai li è facile ritrovare quel che avevi perso, sai, cose come una pallina, o dello spago, o un bottone...”
“Anche la mia spilla Valentina?” chiese un’altra vocina, “Ci tenevo tanto era un regalo della mia mamma”.
Valentina si ricordò d’aver raccolto qualcosa a casa della Tucanessa, aprì il palmo della mano e vide una spilla d’argento, “è questa?” chiese alla bambina.
“come hai fatto??? Le chiesero in coro.
“ve l’ho detto che ho del talento” rispose Valentina.
Zani Ettore – Luglio 2007
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